mercoledì 7 maggio 2014

Falene


La sera, molto spesso, arrivano le falene. A volte solo alcune, a volte migliaia.
Calano dalle colline quando il sole, titubante, inizia a inabissarsi, volano incerte e irregolari, attirate da non si sa cosa, imprevedibili.
Ogni sera le aspetto, col mio schiacciamosche in mano. Non le reputo pericolose, non sono insetti aggressivi, e non mi creerebbero nessun problema se non fossero una costante, al crepuscolo. Ma mi infastidiscono. Mi infastidiscono tremendamente, perché mi svolazzano attorno e addosso, e quando ci sono loro non riesco a pensare, o meglio non riesco a pensare ad altro che a loro, e al fastidio che mi danno.
Quando sono tante finisce che non riesco nemmeno a muovermi.

La sera, quando sciamano, ammazzo le falene. Ingaggio con loro una lotta serrata, ne uccido a decine sperando che, la sera successiva, ne arrivino di meno.
In un armadio conservo i loro piccoli cadaveri. Col tempo avvizziscono e si trasformano in polvere, ma non li getterò mai via.
Non voglio dimenticare i miei successi.

venerdì 2 maggio 2014

Cartilagini

di Pracchio Spippioli, esponente del Neosimbolismo Stitico.


Schianto a terra panne cotte inacidite.
Esplodono sul pavimento
con un suono liquido.
Provo e riprovo,
ma non si distribuiscono mai 
come vorrei
tra le piastrelle acute,
sul pavimento sghembo.

Tagliano rami vivi e foglie verdi,
le mie cesoie spunte.

Stacco le dita di vecchie bambole,
chiuse in bauli impolverati
da anziane artrosiche.
Le colleziono.
Mi serviranno di ricambio,
perché è solo questione di tempo.
Le mie, le loro, anche le tue:
tutte le cartilagini, prima o poi,
finiranno.

giovedì 1 maggio 2014

Rinascita



Non siamo morti.
Siamo come il formaggio ammuffito: basta raschiarlo per poterlo mangiare.
Prossimamente raschieremo, ci strapperemo brani di carne e miceti per tornare a splendere, perché l'inverno finisce, i galli cantano e i visconti piangono miseria.
Compatiteci, nel frattempo. Abbiate pena di noi come fossimo nobili decaduti, sprofondati nella miseria infame di questo mondo alla rovescia, tra stampanti laser e viscidi prati asmatici.

sabato 22 giugno 2013

Untitled

 di Henry Kapdfer, autore del blog Il gxxxxx bluff

 Fotografia di Martin Parr, for Magnum Photos. 
RUSSIA. Moscow. For Fashon Week. 2004.


FIT, FLOP
Quaranta, venticinque volte a lato
Poi PLAFF!
Il cedimento
l’ormone
la mucosa
Vedi? L’è gonfiata
-d’un fiato! –
la faccia.
Che poesia aridella, bassamente dada
di mero sfogo intra-Narciso-uterino
per la giovinezza di lei perduta
in uno schiocco paffuto
che ha del prodigioso.
Ormai vasta produttrice soltanto di muco
di op op impossibili
di incerte operazioni
che, sceverati, vorrebbero
i soffiatori
dagli enfiati.

giovedì 13 giugno 2013

Accappatoi volanti


Uscimmo tutti in strada ad ammirare quell'evento incredibile: centinaia di accappatoi che volavano in cielo, come stormi di uccelli migratori senza zampe. Volavano leggeri, descrivendo figure complesse, e noi li guardavamo stupiti, sorridendo.
Nessuno pensava che quello spettacolo meraviglioso si sarebbe trasformato in tragedia: invece scesero in picchiata, gli accappatoi, avvolsero ogni uomo, donna e bambino in una stretta soffocante.

martedì 28 maggio 2013

Del viaggio o dell'esplorare

di Francesco Trombi, curatore del blog Absurd is the Way.


Santiago è un bel posto, una bella persona e un notevole baobab.
Delle tre, sceglierei la quarta via, quella della laguna: Santiago è un ottimo alligatore.

domenica 26 maggio 2013

La Gardenia

di Pracchio Spippioli, esponente del Neosimbolismo Stitico.




Cresci rigogliosa,
bella Gardenia,
nel mio bagno rosso e blu.
Tra il bidet e la lavatrice,
amici tanto cari,
vivi felice,
mia verde Gardenia.

Ma se chiudo gli occhi
non posso che pensarti
in un prato assolato,
in un bosco bagnato,
su di un monte innevato.

Moriresti così in fretta,
mia triste Gardenia,
soffocata dal caldo,
marcita per l'acqua,
nel gelo impietrita.

Solo qui sei al sicuro:
solo qui nel mio bagno,
che è rosso ed è blu.

Ogni sera ti penso,
Gardenia mia,
ti bramo, ti cerco.
Infine ti prendo,
ignudo e accaldato,
ti rubo una foglia,
la porto alla bocca.

E solo allora ricordo
che sei una pianta
di plastica.

Nota al testo di Roboante Acapulco, filologo comparativista direttore del trimestrale "Palancole che passione"

L'ermeneutica passionale spippioliana si esercita, anche in questa poesia, su di un oggetto-simbolo inanimato, la gardenia, inserita nel contesto toilettistico caro all'Autore. In queste righe lo Spippioli dimostra un'abilità quantomai consumata nel tessere una sapiente tela di connessioni semantiche: il bagno e il mondo esterno, la gardenia rigogliosa e la stessa pianta morente, la realtà rassicurante del bagno rosso e blu e il terrore di un mondo immaginario ed oniricamente catastrofico. Ogni elemento si contrappone dinamicamente agli altri, fino alla risoluzione di ogni tensione in un apparente e vitalistica esplosione di sensualità. Come un lampo il lettore capisce, dopo qualche strofa che il vero parallelo è uno soltanto: quello tra la gardenia e l'Autore stesso, tanto al sicuro tra le mura della toilette quanto terrorizzato al di fuori di esse. Brama se stesso, Pracchio Spippioli, vuol ricongiungersi quasi carnalmente alla sua stessa immagine, giunge ad un passo dal coronare la sua impresa, ma infine non può che sfiorare il sogno: la gardenia, ricorda, è soltanto una pianta finta. Realtà ed illusione, essenza e apparenza, si mescolano al punto da diventare indistinguibili.

lunedì 13 maggio 2013

La Religione che vogliamo

Puntata n°6 di "Essere australopitechi oggi", rubrica regressiva a cura di Grrrugl.


La religione, nell'immaginario collettivo, è una questione complessa.
Una questione filosofica.
Una questione di sfumature e sottintesi, concetti e preconcetti.
Gesù Cristo è sul serio l'incarnazione di Dio? Maometto è stato un vero profeta? La divinità è immanente o trascendente?  La materia è bene o male? Esiste un mondo, al di là di questo? La Madonna era vergine o se la godeva anche lei?
Da millenni la gente si scervella (quando non si scanna) per questioni come queste.
Noi primitivisti vogliamo dire basta all'inutile boria dei religiosi e allo spargimento di sangue che ne consegue.
Crediamo di avere la soluzione, e in pochi passaggi convinceremo anche voi.

Qual è  il comune denominatore delle controversie teologiche?
Fermandosi un attimo è facile capire che tutti, ma proprio tutti, i battibecchi religiosi nascono dalla complessità insita nelle diverse fedi. In nome del puntiglio e dell'amore del dettaglio teologi e pensatori, eremiti e fratacchioni si scervellano da secoli, e si ritrovano ad essere così appassionati alla loro personale astrazione mentale, da voler sgozzare chiunque non la pensi come loro.
Ci sono due soluzioni, apparentemente: eliminare il desiderio di prevaricazione e dominio o eliminare la complessità del pensiero religioso.
Ma il desiderio di dominio, ne converrete, è insito nell'animo umano fin dall'alba dei tempi, al contrario dell'astrusità del pensiero moderno.
Dunque è chiaro che l'unico modo per eliminare i conflitti religiosi è eliminare la complessità dal pensiero umano.

Cosa sostituiremo, dunque, ai tomi dei filosofi scolastici e alle encicliche papali?
Una religione senza pensiero.
Una religione di pura emozione.
Una religione che tocca l'apice della propria complessità nello stupore di fronte al sole che sorge, a un fiume che scorre, a un bambino che nasce.
Da dove credete che giungano le domande che l'uomo si pone da millenni, se non dalla contemplazione di ciò che abbiamo intorno?
Cosa c'è di più profondo, religioso, spirituale e appagante che fermarsi prima che il cervello inizi a macchinare?
Eccola qui, la nostra proposta religiosa: guardate il sole splendere in cielo, guardate l'erba che cresce, sentite sulla vostra pelle il calore dell'estate e il freddo dell'inverno, riempitevi i polmoni dell'odore della pioggia, saziate i vostri occhi con lo spettacolo dei fiori.
E fermatevi.
Non fatevi domande.
Vale di più un raggio di sole che una notte di preghiere.

giovedì 2 maggio 2013

Ricordi


L'uomo torna a casa al tramonto, camminando piano. Non c'è nessuno ad aspettarlo: vive solo, e passa gran parte delle sue giornate immerso nel silenzio. È uno abituato a lavorare sodo, ha le mani callose e irrigidite, la pelle arsa dal sole.
Gira la chiave nella toppa, si sfila i vecchi scarponi consumati e si prepara un bagno caldo.
Ci mette un attimo a ricordarsi della pernice morta che ha appeso alla cintura.
L'appoggia alla credenza e si toglie la camicia.
La sbottona lentamente, e nel farlo un'immagine gli si presenta inaspettata: il vecchio armadio della soffitta. È lì che ha riposto i calzoncini corti la vernice rosa, è lì che li aveva lasciati qualche mese prima. L'aveva dimenticato.
Sorride.
Strani, gli scherzi dell'età.
Si versa un bourbon senza ghiaccio, si siede sulla sua poltrona verde, che emette lo stesso scricchiolio di sempre.
Sorseggia piano.
Non sorride più.

venerdì 19 aprile 2013

Buongiorno Primavera

di Francesco Trombi, curatore del blog Absurd is the Way.


Guardo, rampollo di desideri, l'Esterno.
Caldo pomeriggio, primavera.
Batuffoli, ramarri e fagiani mi guardano dalla finestra.
"Molla la barbalezione. Seguici e corri. Poi pranzeremo con pan di spagna e birra bionda".
Tentazioni con piume e ali, squame e sangue freddo.
Le mie membra si stravaccano nel liquame nauseabondo della noia, annaspando alla ricerca di aria, polmone di artificio.
Lasciatemi uscire ve ne prego.
Respirare aria di gioia, rincorrere frigoriferi e libellule, ammazzare il tempo con soffici creme e annegare puteolente nichilismo nella marea del verde pomeriggio.
C'è troppa primavera là fuori.

Il professore polleggia davanti alla lavagna, inforchettando numeri di astrusi calcoli che rafforzano lo spirito dell'uscita.
Mangime per la mente.
Così lo chiamano.
E una mattinata primaverile? Se devo associare qualcosa alla primavera, oserei metterci un "frizzante".
Frizzante come la brezza, la zazzera che mi rincorre mentre vado in bicicletta.
Frizzante come i fagiani nel greto, andamenti traballati e ondulati di una natura strenua e inapparente.
Frizzante come appaganti farfalle e bicchieri di gelato ancora duro.
Frizzante come l'acerbo frutto del divertimento che cerca di maturare dopo l'inverno.
Frizzante come il buongiorno, e il sole fresco.
Frizzante come gli uccelli che salutano la marmellata.
Frizzante come la birra di more.
Buongiorno primavera, Botticelli delle stagioni.

martedì 16 aprile 2013

Lampioni liquidi


"L'energia vitale di un lampione si comporta come un piccolo reattore nucleare. Non sappiamo quali potrebbero essere le conseguenze di questa scoperta."

Nessuno ascoltò gli scienziati, quando divulgarono i risultati della loro ricerca. I loro moniti furono considerati alla stregua dei vagiti di un talpone peloso, e l'umanità continuò come se niente fosse.
Iniziarono a liquefarsi tutti insieme, i lampioni.
I pali che li costringevano all'immobilità presero a curvarsi, a piegarsi, a contorcersi in forme innaturali.
Alti lamenti metallici si levarono al cielo, e i lampioni si sciolsero in una poltiglia ferrosa, corrosiva, bollente.
I curiosi, scesi in strada per documentare l'evento, furono le prime vittime.
La melma grigia, sempre più fluida e sempre più mobile, si avvinghiò ai passanti, uccidendoli al primo contatto, e iniziò ad aggrumarsi in grandi chiazze, in pozze, in laghi ustionanti.
Radioattivo e schiumante, il metallo liquido ondeggiò, s'ingrossò, calò in un'onda mortale su città e villaggi.

Così si spense la civiltà dell'Homo Sapiens. Come una lampadina che si fulmina.

sabato 6 aprile 2013

Untitled Vergüenza

di Henry Kapdfer, autore del blog Il gxxxxx bluff




Le gengive si ritirano come Furie che
inutilmente
si siano espanse chilometri e chilometri,
abnormi materassini abominevoli Rosaca.rne.
Donami - ho perso tutto -
un apparecchio che recuperi,
una mandibola che resista,
stavolta Rosaca.nina.

lunedì 25 marzo 2013

Il parlamentare del nuovo millennio


Tre ragazzi si avvicinano a un uomo vestito di stracci, con la barba lunga e un odore acre di sudore stantio.
«E tu cosa sei? Cosa sei, bestia?»
L'uomo non risponde.
«Lo so io cosa sei. Tu sei un parlamentare, bestia, sei un politico del cazzo.»
L'uomo scuote la testa, piano.
«Mi fai schifo, tu e tutti quelli come te. Siete una razza di bastardi, pensate solo a voi stessi, siete una casta, una setta, un comitato di interessi. Siete il vomito di questo sistema malato.»
Abbassa lo sguardo, l'uomo, trema.
«Vi siete presi i nostri soldi, cazzo, ve li siete mangiati tutti e vi manteniamo ancora, a voi cani rognosi! Cos'hai lì, rutto umano, fammi vedere?»
Uno dei ragazzi strappa dalle mani dell'uomo un tozzo di pane raffermo.
«Lo vedi, cane bastardo, lo vedi? Tu sei qui a non fare un cazzo e vivi sulle nostre spalle! Merda umana, che cazzo hai fatto per meritarti un pezzo di pane, eh? E a noi? Cazzo ci spetta, a noi?»
L'uomo solleva le mani, per ripararsi dalle botte.
«Ecco cosa vi meritate, tu e la tua razza di stronzi, vi prendiamo a calci, vi prendiamo a calci in culo perché c'è da raddrizzare le cose, qui, c'è da eliminarvi tutti, voi e i vostri privilegi, siete morti ormai, siete tutti morti!»
I ragazzi si accaniscono sull'uomo, lo prendono a calci, a pugni. Gli strappano le vesti, lo sollevano, lo mordono, lo dilaniano, lo fanno a pezzi.
Se ne vanno via fieri, coperti di sangue.

sabato 16 marzo 2013

Eppure allo stambecco

di Rachilde Cimici, esponente del Neosimbolismo Stitico.



Eppure allo stambecco
non servono le ciaspole,
per correre felice
nella candida neve.

Gli bastano dei piedi
sottili e mingherlini,
e corre e salta e danza
più dello scialpinista.

Forse è la Natura
che fa tutto all'incontrario.


Nota al testo di Ignazio Apicardo, direttore del trimestrale di scienze varie "Nespole e Archibugi"

"Con questa poesia la Cimici apre una fase nuova del suo verseggiare. Il rigore formale delle due quartine di settenari si contrappone fortemente al distico conclusivo che pure, formato da un senario e un ottonario, richiama virtualmente il ritmo delle strofe precedenti, destrutturandolo. In questo indugiare, in questo scomporre dall'interno, la Cimici ci fa sentire tutta l'angoscia di un'esistenza di dubbio, di incertezza, di insanabile bifrontismo tra natura e cultura. La ciaspola e il piede dello stambecco, la corsa felice della bestia e il lento procedere dello scialpinista: immagini così diverse e così simili da portare l'Autrice, figlia di una società quantomai lontana dallo stato naturale, a chiedersi se non sia la Natura stessa ad aver sbagliato qualcosa. 
Non c'è risposta, agli interrogativi della Cimici. C'è solo la consapevolezza di non far più parte di quel mondo naturale e selvatico, di non poterlo capire, di non essere nemmeno in grado di osservarlo senza i filtri di una cultura che si fa matrigna. La poesia della Cimici, sublime nella sua semplicità, è in grado di farci provare tutto questo, di farci rimanere con gli occhi sbarrati di fronte al dilemma, al distacco, alla totale impossibilità di comprendere."

giovedì 14 marzo 2013

La prima apparizione del Grande Dio

di Melchiorre Guapone, tempera su cartoncino, 14,8 x 21 cm.


"È attonito, l'uomo, quando scorge il Grande Dio.
Forse perché era lì da sempre."


martedì 12 marzo 2013

Folletti esplosivi



Quando vide l'arcobaleno in lontananza sorrise, emozionato per quel fenomeno che, fino ad allora, aveva visto solo sui libri che mamma e papà gli avevano regalato.
Iniziò a camminare verso quel semicerchio colorato: non conosceva la leggenda della pentola d'oro, non conosceva l'avidità.
Era un bambino innocente, puro, e forse proprio per questo non si stupì quando vide l'arcobaleno diventare sempre più grande.
Si stava avvicinando davvero a quell'impalpabile fenomeno multicolore, ormai gli mancavano pochi metri.
Poteva sentirne il rumore, uno strano frinire metallico, come di fate di titanio che sbattono.

Non trovò la pentola, quando raggiunse l'illusione ottica. Non c'era.
Curioso, sfiorò per un attimo il colore rosso, il suo preferito.
Allora le fate metalliche frinirono più forte, e il bambino sentì la terra muoversi, sotto ai suoi piedi.
Si aprì una botola, nascosta dall'erba, e ne uscì un folletto sorridente, dal naso nodoso.
Si avvicinò al bambino, che emozionato già s'immaginava di aver trovato un nuovo compagno di giochi.
Ma il viso dell'omuncolo non era più benevolo: si era trasformato in un ghigno arcigno, sadico. Guardò il bambino negli occhi, il folletto, poi si fece esplodere, dilaniandolo e spargendone i resti tutt'intorno.

Dopo di lui uscì un altro folletto, seguito da un terzo, da un quarto e così via.
Corsero veloci verso le case circostanti, per farsi esplodere vicino agli umani.
Il terreno non smise di eruttare folletti per molti giorni.
Non servirono a nulla gli appelli dei telegiornali, non servì l'esercito, non servirono i bunker e le cantine.
Nessuno sfuggì ai folletti esplosivi.

martedì 5 marzo 2013

In difesa del brutto



Alcuni lettori e alcuni esponenti del ceto intellettuale di questo nostro beneamato e ridente paese ci hanno fatto notare che, a detta loro, il blog de L'Assurdo è brutto.
Brutto per la grafica, brutto per i contenuti, brutto in generale.
A questi esimi concittadini ci sentiamo in dovere di fornire una risposta ufficiale, per tanto ci premuriamo col presente comunicato di rendervi edotti del fatto che lo sappiamo benissimo che questo blog è brutto. Ci teniamo inoltre a precisare che questo blog è brutto per scelta, e che a noi il brutto ci piace, anche sintatticamente parlando, talvolta.

Noi siamo a favore del brutto, del brutto facciamo la nostra bandiera, e vi spieghiamo perché. In tutto e per tutto, nel creare e nel tenere in vita L'Assurdo, ci ispiriamo alla Natura. Lo stato naturale, brado e libero, per noi è l'unico valore accettabile e degno di essere propagandato.
E la Natura, quella con la N maiuscola, non è fatta solo di cascate, foreste incontaminate, ghiacciai e barriere coralline.
La Natura è quella che ha creato la mucca, e non ci vuole molto per scorgere la scarsa grazia di questo mammifero.
La Natura ha creato anche la lingua della mucca, bavosa e ruvidina, poco piacevole da toccare anche se molto gradevole da mangiare, una volta staccata dall'animale e bollita.
La Natura ha dato vita a una bestia, la mucca, che mangia chili d'erba ruminando coi suoi denti tartarosi e che produce chili di sterco. Sarete d'accordo nell'affermare che lo sterco, di cui la natura è oltremodo ricca, non è esattamente una cosa bella, a meno che non siate una blatta o una mosca. Ma non lo siete, e in più le blatte, bestie croccanti che ruminano sterco, le giudicate poco attraenti, piuttosto sgradevoli, senza dubbio brutte.
Ha creato i rospi viscidi, la Natura, le larve ghiotte di carne marcia, la carne marcia, le unghie dei piedi dei morti, le foglie secche, il vomito di topo, i tassi che fanno a pezzi decine e decine di cuccioli di talpa per divertimento, anche se sono già sazi.
Ha creato l'uomo, quindi anche i centri commerciali, le guerre nucleari, i necrofili e la sperimentazione sui cagnolini tanto carini che tutti amiamo condividere su Facebook per sentirci buoni, lindi, puliti.

La Natura fa schifo.
Lasciate che facciamo schifo pure noi.

lunedì 4 marzo 2013

Macaco tragico


Spuntano dalla terra, i macachi.
Fiori purulenti di radici sotterranee, scavano con le loro zampe unghiute fino a trovare la superficie.
Scimmie-zombie dal pelo terroso, hanno fame di carne, di pelle, di cervelli umani.
Spuntano a decine, a centinaia: i prati vomitano scimmie malate, primati invasati, bestie senza ritegno, pazze della fame che riempie le loro viscere.

Calano sulle città, orde scomposte, urlanti, vogliose di sangue.
Entrano nelle case, latrando, sventrano uomini, donne e bambini, martoriando coi denti aguzzi le le carni di giovani e vecchi.
Mordono, strappano, sbranano.
È nell'urlo di una scimmia che crepa l'umanità.
È tra le sue fauci che inizia a decomporsi.